Sicomoro

Mt 22  41Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42«Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo:

44Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi
?

45Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo.

Mt 23  1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. 
8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo;12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Il vangelo di Matteo

Così è lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli (13,52)

Gesù ha dovuto subire un vero e proprio attacco ideologico dopo il suo ingresso a Gerusalemme e la cacciata dei mercanti dal tempio. Una serie infinita di questioni per metterlo in difficoltà, per sminuirne autorevolezza e mandato. Come il figlio che dice e non fa, come i fittavoli omicidi, come coloro che si rifiutano di partecipare al banchetto nuziale, i farisei, gli erodiani, i sadducei si rifiutano di capire, di cambiare, e cercano di mettere in difficoltà Gesù nelle sue scelte politiche (il tributo a Cesare), in quelle di fede (la resurrezione con la vedova ammazza-mariti), nella dottrina (il primo fra i comandamenti). Ora però, per chiudere questa lunga disputa e passare al contrattacco, è tempo di manifestare la sua autorevolezza, la sua preparazione, la sua forza interiore.

Il figlio di Davide (Mt 22,41-45)

Chi è, dunque, Gesù?

I discepoli hanno dato la loro risposta. Ma la domanda resta sospesa.

I farisei, ovviamente, non pensano in alcun modo che egli sia il Messia. Non è nemmeno un rabbino o un profeta. Hanno la loro idea su come debba essere il Messia. Gesù non gli assomiglia affatto, quindi è un ciarlatano.

Ma su cosa si fonda quella loro incrollabile certezza? Sanno argomentare il loro pensiero? No.

41Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42«Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo:

44Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?

45Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo.

È Gesù che chiede, questa volta. Lo hanno interrogato, ora tocca a lui.

Cosa ne pensano di Cristo? Di chi è figlio?

Ci tiene, Matteo, a questo titolo, figlio di Davide, che ricorre otto volte nel suo Vangelo. È l’appellativo con cui i malati si rivolgono a Gesù perché Salomone, figlio di Davide, aveva doti taumaturgiche (9,27;15,22;20,30-31). È il titolo con cui è stato acclamato dalla folla al suo ingresso a Gerusalemme (21,9) e dai bambini al tempio (21,15).

Il Messia, quindi, è un discendente di Davide, un nuovo re capace di restaurare l’ormai tramontato Regno di Israele? No, non solo.

Citando il salmo 110,1, nella versione greca dei LXX in cui il testo usa lo stesso termine, Signore, kuryos, per tradurre i due termini Adonai e adonai, Gesù argomenta: se Davide, ritenuto autore di tutti i salmi, lo chiama Signore, si mette al di sotto di lui, quindi non è un suo discendente, né suo figlio, ma qualcosa di più.

Una delle correnti del messianismo (libro di Enoch) parlava del Messia non come figlio di Davide, ma come figlio di Dio.

Gesù, insomma, dona una nuova forza alla figura del Messia, assommerà in se le due figure: egli è discendente della famiglia betlemmita di Davide ma, anche, come professano i cristiani (quel salmo è il brano dell’AT maggiormente citato) nel NT.

Davanti a questa argomentazione, i farisei sono zittiti e, annota l’evangelista, nessuno sarà più in grado di mettere in difficoltà che, evidentemente, non è un campagnolo esaltato, ma un profondo conoscitore della Parola.

Alcuni obiettano: è un testo manipolato dalla comunità! No, la maggior parte degli studiosi concorda nel ritenere questo dialogo reale, e la riflessione di Gesù essere… di Gesù. Magnifico.

Meditare

Il primo tema di meditazione è squisitamente teologico, spesso lo diamo per acquisito, senza porci troppe domande. Chi è veramente Gesù? Cosa pensiamo del Cristo?

Abbiamo bisogno di un salvatore o l’uomo è capace di realizzare se stesso? Per parlare di salvezza ci deve essere qualcosa da cui essere salvati… Da cosa dobbiamo essere salvati? Il cristianesimo parla di una fragilità originaria che influenza le nostre scelte, il nostro comportamento. Possiamo uscire da questa fragilità da soli? No, afferma il cristianesimo, necessitiamo di una Salvatore.

Non di un condottiero che porti delle riforme, che capeggi una rivoluzione, come un po’ si aspettavano i farisei i quali, nella loro riflessione, pensavano che l’umano fosse in grado di salvezza, osservando scrupolosamente i precetti. Gesù afferma che il Messia non è solo un figlio di Davide nel senso di un re condottiero, ma un Figlio di Dio, cioè qualcuno cui anche Davide si inginocchia.

(Gesù è consapevole di essere quel tipo di Messia? Sì, sta maturando quella coscienza che fiorirà definitivamente dopo la resurrezione)

Una seconda riflessione mi deriva dalla capacità di Gesù di argomentare e dall’ignavia dei suoi avversari che non sanno nulla delle loro convinzioni su cui hanno costruito tutta una serie di accuse nei confronti di Gesù.

Questo ci dona ancora lo spunto per chiederci se i pregiudizi non inquinino mortalmente tante nostre decisioni, più per pigrizia mentale che per altro (conoscere richiede fatica).

Gesù conosce e medita la Scrittura, non è un maghetto qualsiasi, dedica tempo ed energia alla sua vita interiore. Conoscere non è solamente avere delle convinzioni, come fanno i farisei, ma far risuonare la Parola, farla dialogare con la vita. Nel caso d Gesù la sua riflessione diventa coscienza del sé.

Per la vita

Che cosa pensate del Cristo?

Il discorso di commiato (Mt 23,1-12)

Il lungo e impegnativo capitolo tredici richiede una certa dose di prudenza del maneggiarlo. Leggendolo tutto d’un fiato si resta spiazzati per la dose di aggressività che, a prima vista, sembra più di Matteo che non di Gesù.

Gesù si scaglia contro le incongruenze dei farisei, entrando nel dettaglio. Dopo una prima introduzione, che stiamo per leggere, elenca sette guai contro atteggiamenti derivanti dall’approccio farisaico.

Ma, questa è la chiave di lettura corretta, Matteo si scaglia contro i farisei o contro il fariseismo inteso come degenerazione di un corretto atteggiamento religioso? Non dice, Gesù, che occorre osservare quello che i farisei dicono senza scandalizzarsi di quello che fanno?

Il brano, allora, è rivolto alle comunità cristiane che finiscono col reiterare certi atteggiamenti e da cui bisogna continuamente allontanarsi.

Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. 
8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo;12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

I destinatari non sono più i farisei e i sadducei, né gli scribi ma la folla e i discepoli. Dopo la caduta del tempio dopo il concilio di Javne, contemporaneo alla scrittura del vangelo di Matteo, custodi dei quel che resta del giudaismo sono proprio i farisei, essendo finita la classe sacerdotale e i sadducei stessi. Sono loro ad essersi seduti sullo scranno di Mosè, attribuendosi la corretta (e unica) interpretazione della Tora.

Ed ecco la prima sorpresa: Gesù/Matteo non nega il valore di quanto dicono! Ma annota il fatto che spesso non osservano, loro per primi, quanto dicono con forza e determinazione. È il complesso problema della coerenza, dell’equilibrio fra rigorismo e compassione, molto dibattuto ancora nelle nostre comunità.

L’accusa esplicita di Gesù è quella di essere molto intransigenti con i discepoli ma poco disponibili a praticare quanto impongono agli altri. L’atteggiarsi a maestri e guru senza condividere seriamente quanto proclamano, mettendo in dubbio il fatto che sia possibile vivere quanto essi stessi chiedono…

Potremmo dire che la prima critica consiste in una assenza di misura, senza indicare un percorso che essi per primi hanno sperimentato.

Il secondo rischio è quello dell’apparenza, del prevalere dell’immagine sulla sostanza. L’immagine è caricaturale: non ci risulta che mai rabbini contemporanei di Gesù, come Hillel o Shammai siano mai stati chiamati rabbì ma risulta molto esplicita. Anche all’interno della prima comunità, immaginiamo, si era venuta a creare una sorta di gerarchia spontanea, di grande rispetto nei confronti di chi aveva conosciuto Gesù o ne era stato discepolo della primissima ora. Quel carico di autorevolezza, però, correva il rischio di far perdere di vista l’essenziale.

Ecco la proposta di correzione a questo atteggiamento: quello dell’umiltà.

Meditare

Un testo molto difficile da accogliere per quella propensione che tutti abbiamo, scrivente in testa, di pensare che queste parole riguardino… il nostro vicino.

Ma è interessante notare come questa introduzione, alla fine, descriva atteggiamenti ancora molto diffusi fra noi cristiani, ancora oggi, anche in contesti come il nostro. Accogliamo allora questa pagina con la forza che porta in sé, senza attenuarla.

Anzitutto il discorso della coerenza fragile equilibro fra non diventare dei rigidoni e non essere lassisti auto-giustificanti. Gesù non è morto in nome della coerenza, come dico spesso e la comunità cristiana non è l’assemblea dei giusti ma il popolo dei perdonati. Ma dove passa il confine? In casi limite come la pedofilia o il furto (pensate alle cronache di monsignori cocainomani) o, in ambito laicale, con quanta leggerezza ci assolviamo dalle incoerenze (dal pagare le tasse alla sincerità… ricordate Pif!) dove dobbiamo fermarci senza usare la misericordia come un paravento? Rimango dell’avviso che in casi di crimini debba intervenire il foro esterno ma nella maggior parte dei casi solo il foro interno (una coscienza debitamente illuminata vedi Veritatis splendor) debba intervenire.

Interessante il criterio di chiedere agli altri ciò che noi abbiamo sperimentato. Qui non si tratta solo di legare ma anche di sciogliere. La fede come sforzo, imposizione, regola, disciplina non assolve al mandato del Signore. Il comandamento, quante volte lo abbiamo detto, è la forma dell’amore. Gesù parla di persone che impongono agli altri ciò che essi per primi non riescono a vivere. Non significa prendere se stessi come metro di giudizio ma, piuttosto, guardare avanti mettendosi in gioco con onestà.

Ciò che sto chiedendo a questa persona io sono stato in grado di viverlo?

Parliamo, allora, di coaching non di maestri. Il rischio del gurismo esiste ed è molto diffuso, anche nel nostro ambiente, ma una soluzione non esiste se non quella di Paolo: siate miei imitatori nelle cose in cui lo sono di Cristo.

Da questo punto di vista tutte le descrizioni dell’apparenza che Gesù descrive sono enormemente attuali e ci aiutano a riflettere e a prenderci un po’ meno sul serio.

Per la vita

Un solo maestro?

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